VITRIOL: VISTA INTERIORA TERRAE RECTIFICANDO INVENIES OCCULTUM LAPIDEM

Già da una prima lettura di tale frase possiamo bene intendere che, mentre per un verso si vuole comunicare un insegnamento ed un significato consequenziale utile a chi lo stesso riceve, quale percorso ed operazione da compiere per il ritrovamento di una soluzione delle problematiche che hanno spinto l’iniziando stesso a richiedere l’iniziazione, per l’altro la parola stessa contiene in sé anche qualcosa di più del semplice invito operativo che viene solennemente fatto.
Incuriosisce l’osservatore attento, innanzitutto il senso della frase e il significato da dare al contenuto della stessa, da attualizzarsi sui diversi possibili piani “operativi” ma quel che ancor più incuriosisce è il fatto che il suo senso apparente costituisce un risultato che dovrebbe ritenersi compiuto una volta effettuato il viaggio nella Terra, risultato che invece resta come un ammonimento che sollecita l’iniziando a ripetere di continuo l’operazione, prima ancora che a lui vengano resi noti i modi per operare.
Si esalta l’operazione ponendola per la sua esplicita evidenziazione come comandamento e comportamento essenziale di carattere generale da tenersi sempre presente e da attuare comunque.
La frase è stata interpretata, dopo opportuna modifica, anche in tal senso: “Visita interiora tua, rectificando……”, intendendosi con ciò dare alla stessa il significato di un lavoro puramente introspettivo, quasi sostitutivo di quello che un paziente compie con l’aiuto del proprio psicanalista.
Il significato della parola V.I.T.R.I.O.L., è ben altro, ben più impegnativo e risolutivo dei problemi dell’individuo, di quello pure importante or ora ricordato, significato ovviamente anche quest’ultimo non escluso dal lavoro che l’iniziando dovrà portare a compimento.
L’insegnamento vuole che l’iniziando sia consapevole, desto, non rinchiuso, né condizionato da e in soluzioni banali, scontate o dogmatiche delle tematiche che la realtà a lui propone.
A tal fine lo stimola e lo mette, già con questa prima parola, alla prova, palesando apparenti contraddizioni di significato, di terminologie e di situazioni che esigono invece una soluzione del tutto giustificante ogni possibile dubbio e domanda.
Soluzioni che vogliono appunto l’adozione della massima attenzione e l’esecuzione di una effettiva indagine con l’attivazione piena delle facoltà presenti nell’individuo, del pensare, del riflettere, meditare, coordinare e trarre conclusioni.
Per chi voglia effettivamente lavorare e comprendere, è mia opinione che innanzitutto ci sia da domandarsi in cosa consiste in effetti l’operazione del “visitare”.
Si tratta, forse, di un “visitare” pensandosi? Oppure si tratta di un continuo sperimentarsi ed al tempo stesso di un osservare gli effetti del nostro comportamento? E non si tratta forse ed invece di prendere puramente atto, in termini di visione e presa di coscienza, in stati di obbiettiva presenza a noi stessi nell’esame – che dovremo necessariamente fare – dei nostri modi di essere, delle nostre qualità nell’agire, dei nostri sentimenti – quelli che accompagnano e producono effetti derivanti dalle azioni compiute – e non anche invece di una introspettiva indagine sui perché che hanno sollecitato tutte le realtà già ricordate nel nostro essere, in un modo o nell’altro qualificatesi con riferimento al sociale, al singolo individuo e alla natura?
Visitare, cioè, significa soltanto prendere atto? O invece significa procedere a scoprire anche e soprattutto i luoghi nascosti ed occultati della nostra realtà?
Come possiamo ben vedere “visitare” non è certo compito da poco, solo che non ci si limiti superficialmente a intendere la dimensione della operazione proposta.
Il visitare comporta una presenza. Non un semplice pensare o intervento mentale, ma la partecipazione dell’interezza della persona.
Una presenza fisica con un’intensa motivazione nella ricerca.
Una volontà che ci fa procedere ed una mente che discerne. Il visitare significa anche assumere un atteggiamento dinamico, bandendo la staticità; significa procedere al fine di osservare, analizzare, scegliere determinati percorsi ed avanzare per raggiungere il fine che ci siamo proposti.
Ma qual è l’oggetto della visitazione? Verso quale posto ci muoveremo? Il luogo viene indicato quale l’interno della terra. Badiamo bene, non la superficie, ma la parte più nascosta e non visibile ordinariamente. Dei quattro elementi: aria, acqua, fuoco e terra, viene indicato quest’ultimo, il più materiale. Nel microcosmo umano, il corpo fisico, con la sua materialità, viene associato all’elemento terra. Ne consegue che la ricerca deve essere orientata all’interno dell’Uomo quale corporeità.
Ma visitare l’interno della terra presenta una grande pericolosità, perché ci si orienta verso un mondo sconosciuto, immergendoci nel quale possiamo perderci nella nostra totalità od avere l’immensa ricompensa, nostra mira nell’intraprendere il periglioso viaggio.
Lo scopo della ricerca viene indicato come il ritrovamento della pietra occulta, cioè nascosta. E’ una pietra misteriosa e di estrema preziosità. Una pietra che possiede immensi poteri e che essenzialmente permette quella trasmutazione dell’essere che giustifica il completo dedicarsi al
la sua ricerca. Una pietra che viene ad essere qualificata “filosofica”, perché nota ai “filosofi”, e, dopo opportune lavorazioni o “rettifiche”, diventa “filosofale”, con il potere di trasmutare i metalli vili in oro e capace di dare l’immortalità.
Il simbolismo ancora ci soccorre e ci indica che quando l’uomo ha realizzato l’illuminazione, l’occhio spirituale gli permette di rendere aureo ciò per gli altri è di poco valore, in quanto non hanno attivato quella capacità di penetrazione delle cose;
capacità che rimane in loro potenziale, quale possibilità cioè non realizzata.
La giusta visione delle cose porta come conseguenza la scelta dell’unico, vero sentiero che ci dà il dono dell’immortalità nel divino. Ma questa è solo una delle ipotesi, infatti: per quale ragione la frase parla espressamente di “Interiora Terrae” ? Cosa si intende effettivamente per “Terrae”? Soltanto il proprio interiore psichico?
Così come sembrerebbe essere se adottassimo per vera la formulazione sopra ricordata che sostituisce al termine “interiora Terrae” quello di “interiora Tua”? Certo non possiamo negare che la frase fa espresso riferimento proprio all’interno della Terra, e non all’interno, alle interiora, di ogni singolo individuo. E non potrebbe darsi che la frase voglia proprio significare l’interno della terra? Da intendersi questa,
ovviamente, non quale oggetto del lavoro dello speleologo ricercatore, il quale al massimo penetra in una limitatissima parte di quella che è la piccolissima realtà della crosta terrestre. Che, se fosse vera tale ipotesi – salvo intendersi sul significato del termine terra – ben si comprenderebbe come tale sia l’invito proposto, piuttosto che la formulazione di un invito nei noti termini del comando che dice “conosci te stesso”.
E pur se forse possiamo ipotizzare quasi con certezza che non vi sia per nulla contrasto tra l’operazione del “conoscere se stessi” e quella del “visitare le interiora della terra”, dobbiamo altresì ammettere che una ragione decisamente importante vi deve essere stata allorché si è trascurato un mottodel tutto nobilitato – in quanto iscritto sul frontone del tempio di Delfi – e fatto proprio da Socrate e da tutta la filosofia occidentale, e si è invece adottato un acrostico di significato apparentemente uguale proveniente dall’Alchimia per veicolare con le parole V.I.T.R.I.O.L la stessa concettualità e lo stesso impegno da perseguire.
Ovviamente la Terra non può di certo intendersi come il coacervo dei silicati, dei carbonati, dei metalli puri ed impuri, che si appalesano ai nostri sensi e che costituiscono la cosiddetta crosta terrestre, avuto riguardo allo stato di coscienza da noi vissuto nella condizione limite nella quale attualmente siamo collocati.
E non può neanche intendersi come quel fuoco centrale che la scienza ci dice essere attivo nel nucleo del pianeta, così come lo stesso ci si mostra. Sarebbe come credere, e pensare, che la prigione nella quale siamo rinchiusi e la condanna a morte che ci è stata irrogata sin dal nostro nascere, sia costituita dalle mura e dalle sbarre della prigione materiale stessa nella quale apparentemente siamo rinchiusi, e dalla sentenza che riteniamo che qualcuno abbia emesso nei nostri confronti.
La terra deve essere qualcosa di più e qualcosa di diverso, così come la prigione deve essere qualcosa di diverso dalle mura che sembrano rinchiuderci, e come la sentenza a sua volta deve riguardare una situazione del tutto diversa da quella presupposta dalla presunta formale irrogazione della condanna.
Se solo ci soffermassimo a riflettere sulla prima parte di questo invito ed attentamente considerassimo il suo senso più intimo, di certo qualcosa comprenderemmo di più di quanto normalmente siamo portati a comprendere; ed è altresì certo che sapremmo anche bene intendere il lavoro che dovrebbe essere portato a termine da ciascuno di noi.
Non dovremo adottare perciò, a questo punto, soluzioni semplicistiche e banali, penetrando nel senso più profondo del significato che l’invito comporta.
L’Iniziando ha in se la potenzialità e la capacità di attuare un simile per corso ricognitivo e di svelamento, percorso che lo porterà a ritrovare la fonte della sua essenzialità, la fonte della vita, evadendo in tal modo dalla prigione nella quale è convinto di essere rinchiuso e fuggendo alla condanna alla quale ha egli stesso acconsentito per aver dimenticato
la sua origine divina.
Tale iter da compiere passa necessariamente, e si attua, non con la materialità, non con la psichicità, e neppure con l’intelligenza piatta e banale, ma piuttosto con quell’elemento centrale e costituente l’essenza dell’essere, quell’elemento che si è soliti denominare lo Spirito, il quale pure si assume esser presente nell’uomo come riflesso di un fuoco centrale presente nella manifestazione, che nell’individuo sembra manifestarsi, se ricercato, in atto, quale intelligenza superiore.
La Terra è in realtà l’idea dell’idea e la stessa è conoscibile e percepibile se specchiandosi in essa, dopo averla ricercata, l’essere umano ridesta la sua primigenia Qualità. A questo punto si potrà accettare che menti che cominciano a risvegliarsi, contestino il metodo adottato del ricorso ad immagini mitiche, per indicare in cosa consista la terra e in cosa consista l’idea dell’idea.
Qualcuno potrà dire che è troppo facile mostrare la Terra in una proiezione d’immagine diversa da quella che usualmente è intesa e poi senza spiegare in concreto in che consista effettivamente la Terra, identificarla additandola come meta da raggiungere in una Iside che alla fin fine se non riportata in termini di concettualità ad immagini conosciute, resta comunque velata. E se tale critica venisse effettivamente sollevata da chi è ormai interessato al tema, dapprima perché incuriosito dalle anomalie e perché di poi preso dalla tematica, non si potrà che rispondere a chi ripropone in tali termini i quesiti originari, che effettivamente la critica sembra aver giustificazione e fondamento.
Ma, prima di rispondere all’obiezione, c’è da domandare all’interrogante se non sia già un fatto trasmutatorio l’essersi posto nei confronti di una prospettazione del genere di quella effettuata, in termini critici, un principio di approfondimento serio del tema, e se tale suo atteggiamento non consista già in un inizio di viaggio e al tempo stesso in una trasformazione.
Il porre la domanda può lasciar sperare in una risposta; ed anzi, secondo i kabbalisti, nella domanda rettamente posta, è già implicita la dovuta ed ineluttabile risposta.
In ogni caso il porre la domanda è già il conquistare, per chi la pone, uno status diverso dal precedente.
In alchimia si suole indicare tale atteggiamento, quello appunto dello sgombrare l’insieme delle possibili ipotesi da quelle inutili, banali e non concludenti, l’atteggiamento di chi criticamente, mentre tenta di comprendere la dimensione delle tematiche, scarta le prime soluzioni ovvie e banali, l’operazione “del depurare della feccia” la materia prima.
Questa operazione ovviamente segue a quella che la precede che è l’operazione della “putrefazione”, operazione che però l’iniziando è già naturalmente venuto facendo ed effettuando nella vita di ogni giorno, tanto che giunta la putrefazione alla sua piena maturazione, ha deciso di morire a tale stato e volendo l’iniziazione, si è apprestato a compiere senza esserne consapevole appieno, quel viaggio.
Il depurare la materia prima dalla “feccia” è – come ognuna delle operazioni dell’opera – un momento necessario ed importante del viaggio che abbiamo iniziato.
L’indicare soltanto l’obbligo del viaggio con il proporre la parola V.I.T.R.I.O.L. senza fornire ulteriori indicazioni a chi anela al superamento dello stato di marcescenza e di putrescenza, di dubbio e di oscurità, di disarmonia e di mancanza di luce nel quale si trova, non è esercizio sadico di chi si compiace di destare o ridestare un fuoco sopito, per poi lasciare insoddisfatto il ricercatore o il questuante.
Il passare per tappe di tal genere è operazione che rende puro l’ambiente, permettendo l’identificazione del materiale sul quale lavorare. E l’ambiente, è indubbio, è costituito dallo status interiore dell’operatore il quale, impegnato con volontà (e non testardaggine), continua e sempre insiste, soffrendo il patos del travaglio, necessariamente abbandonando, nel corso del travaglio stesso, le scorie che impediscono la presa di coscienza dell’oggetto per il quale il percorso si svolge e che, compreso, diverrà la pietra da rettificare.
Lasciare i metalli significa appunto questo.
E a tale operazione di lasciare i metalli si da seguito ancor prima dell’entrata nel “Tempio”, anche se ciò avviene in termini ancora di inconsapevolezza del significato dell’operazione che si compie: la stessa continua anche dopo l’iniziazione e comunque deve essere ricompiuta e riattualizzata ogni qualvolta si lavora nel Tempio.
Il viaggio consiste almeno nella prima fase, appunto in ciò, nel render puri il corpo, la psiche, l’anima e la mente al fine di cominciare a comprendere l’oggetto vero della ricerca. In tal modo la Terra diviene con linguaggio alchemico, da fecciosa e lutulenta, una terra “alba”, cioè chiara, lucente.
È ben vero che nella ricerca la tradizione provoca chi ha ormai iniziato a compiere il viaggio, dapprima stupendolo, poi incuriosendolo, poi rafforzando l’intenzione originaria tesa a far sì che sempre più, l’ambiente(che è stato precisato essere ambiente interiore ed esteriore) divenga pulito e perfetto; il che detto in altro modo è il sollecitare al compiere l’operazione di sgrossare la pietra grezza. E a volte la tradizione si lascia sfuggire – pur mantenendo il dubbio in termini di proposta ipotetica – che la materia, cioè la Terra da visitare, sia appunto l’idea dell’idea.
Ma sarà veramente da intendere la terra in tal senso? O non sarà invece ipotizzabile che la Terra, termine certo dell’invito formulato, non consista in realtà in null’altro se non in quelle che potremmo chiamare le strutture del Reale, la conoscenza effettiva delle quali potrebbe essere il compito da portare a termine?
Ed in effetti la perfetta conoscenza della sostanzialità della Terra Madre è un fatto che – ben lo si intuisce – una volta che sia stato realizzato, è liberatorio dalle condizioni di ignoranza che lo hanno preceduto, e quindi dai dubbi, dalle incertezze, dalle ombre e dal buio nelle quali il ricercatore si trovava, ed è quindi al tempo stesso un fatto trasmutante, trasformatore dello status nel quale il protagonista della ricerca si era fino a quel punto venuto a trovare.
Conoscere non consiste soltanto in un prendere atto, in un acquisire dati o elementi; ma piuttosto è, e consiste, in termini qualitativi in un trasformarsi della coscienza del conoscitore, ed in termini quantitativi in un accrescersi in estensione ed in profondità degli spazi angusti allo stesso originariamente concessi.
Con il conoscere, la prigione nella quale il condannato è rinchiuso, allarga le sue mura e, soprattutto, fatto questo connesso ma ancor più importante, lo stesso dapprima vagamente e poi sempre più con sapevolmente intuisce e comprende il perché della condanna.
Per il che può accadere che a volte adotti soluzioni immediate nel corso delle operazioni che va svolgendo, di carattere teologico-speculativo a giustificazione della stessa, e a volte faccia scelte, sia pur qualificate, di tipo religioso per la soluzione finale del problema che si è proposto, che è poi quello del ritrovamento della sua – forse persa? Ma chi lo saprà mai? – Libertà! Ed è anche certo che la conoscenza dell’Opera rende partecipi dell’opera compiuta, e che chi conosce appieno l’opera, i modi e i termini nei quali la stessa è stata e viene realizzata, è simile al suo Autore che l’ha portata e che, ogni giorno che il Sole sorge all’orizzonte, la porta a termine! Ed è anche certo che la piena conoscenza del vero, la Verità, sarà quella appunto – come ha detto il Maestro – quella che ci farà liberi !
L’opera del visitare l’interno della Terra consiste appunto in ciò: mondato e purificato l’ambiente (e cioè il ricercatore, colui che compie la cerca), individuare dapprima l’IDEA, e, dopo aver rettificato il nostro abituale modo di intendere il Reale, penetrare nel CENTRO DELL’IDEA, perché si possa comprendere e partecipare insieme con l’Architetto, che scopriremo esser nostro Padre, del piano che ci risulterà svelato, costruttivo dei Mondi e della Vita.
Effettuata la prima parte del viaggio, realizzata con la scelta del volere che si accinge ad operare e con la mondatura e la purificazione dell’ambiente, giunti nel luogo laddove è presente l’IDEA – la quale alimenta se stessa con l’alimentare a sua volta le strutture che le danno forma – resta certo che per accedere al Centro dell’Idea è indispensabile compiere e portare a termine l’operazione del rettificare.
La stessa è davvero una operazione decisamente impegnata, difficile da compiersi e soggetta sempre ad essere inficiata da possibili errori e ricadute nel vecchio ed abituale modo di agire, sentire e, soprattutto, pensare.
Il rettificare non consiste neces-sariamente in una catarsi dei sentimenti che hanno caratterizzato l’anima del ricercatore, o in un agire diverso da quello da sempre tenuto – pur se il capovolgimento dei valori e quindi del conseguente sentire ed agire, non è escluso.
Forse è più adeguato il termine di “metanoia” al fine dell’intendere in cosa consista il “rettificare”; in quanto etimologicamente analizzato, lo stesso termine ci indica un capovolgimento della mente e dell’intendere che implica, in parte, un andare al di là della mente stessa.
Il rettificare, operazione che apre la porta che da accesso al centro dell’Idea, consiste in un diverso pensare e in un diverso comprendere, consiste nell’accedere – come direbbero i kabbalisti – a DAATH, la Conoscenza, la Sefirà incognita posta tra HOCMAH, l’Intelligenza, e BINAH, la Sapienza.
L’Alchimia, diceva Artefio, un grande alchimista, ripetendolo nei suoi scritti e ai suoi discepoli, è “un’arte cabalistica” e non arte di fornelli e di alambicchi, oppure arte fatta soltanto di azioni moralmente rette ed eticamente buone.
Con la Parola V.I.T.R.I.O.L. la Tradizione, ci svela il senso e il significato della dovuta e mai soddisfatta ricerca da parte dell’UOMO, del Vero, del Bello e del Giusto, ma anche ci porta a conoscere la Materia prima dell’Opera e l’essenziale strumento operativo per la realizzazione della stessa.
Se la scienza moderna, ricca di tanti orpelli ed anche di importanti risultati, appiattita sull’orizzontale dell’utile da conseguire dei vantaggi da ricavare e far ricavare in funzione del predominante dominatore degli interessi umani, il danaro, comprendesse il senso e il significato dell’insegnamento che con tale termine viene trasmesso, ben altre sarebbero le attuali vicende dell’Umanità!
Le spade sarebbero trasformate in vomeri e il leone pascolerebbe con l’agnello, perché la Scienza divenuta Co – Scienza, sarebbe salita verso l’Alto e nell’Interiore attingendo il suo ritrovare alla Conoscenza Suprema.

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